di Marcella Barone
Nella Giornata della Memoria, più che mai significativo è stato l’appuntamento che si è svolto questa mattina presso la sala consiliare di Palazzo dei Celestini a Lecce dove è stata riportata la testimonianza di Claudio Fano, testimone diretto delle leggi razziali, quando era solo un bambino a Roma. L’evento rientra nella Settimana della Memoria, organizzata dal Museo Ebraico di Lecce in collaborazione con il Comune e la Provincia di Lecce, le cui iniziative termineranno domenica 29 gennaio. L’incontro odierno è stato inaugurato da Antonio Leo, vice presidente della Provincia, che si è rivolto in maniera particolare ai tanti ragazzi presenti provenienti dalle scuole di Lecce Ascanio Grandi, Oxford, Costa e Siciliani: “La memoria deve vivere ogni giorno, pertanto invito tutti voi ragazzi a visitare il museo ebraico anche al di fuori di questa ricorrenza. L’avvocato Claudio Fano, oltre che della sua testimonianza diretta, ha voluto arricchirci ulteriormente con alcuni oggetti che richiamano alla cultura ebraica e che sono stati donati al Museo Ebraico. Nel nostro piccolo ciò che ognuno di noi può fare per mantenere viva la memoria è coltivarla attraverso la cultura della pace con la quale possiamo combattere gli avvenimenti che oggi purtroppo si verificano a pochi chilometri da noi”.
Ha preso poi parola il Prof. Fabrizio Lelli, Direttore del Museo Ebraico di Lecce e docente di lingua e letteratura ebraica presso l’Università la Sapienza di Roma: “Testimonianze come quella dell’amico Claudio Fano arricchiscono la nostra consapevolezza facendoci comprendere come attraverso modelli del passato dovremmo fare davvero di tutto affinché ciò che è accaduto non si ripeta più. Claudio Fano è nato a Roma, dove vive, una città sede di una delle più antiche comunità ebraiche del mondo, della quale è presidente. Al nostro museo ha donato dei pezzi, degli oggetti rituali del mondo ebraico, che vi invitiamo a vedere”.
Nato nel 1935, Claudio Fano ha vissuto da bambino gli anni delle leggi razziali in Italia assieme alla sua famiglia. Oggi le racconta con delicatezza contestualizzandole perfettamente in quegli anni, anni nei quali “c’era una mentalità molto diversa da quella di oggi”. Con grande sensibilità, questa mattina l’avvocato ora ultraottantenne ha parlato ai ragazzi delle scuole leccesi spiegando anche dei particolari semplici come il fatto che la comunicazione ai tempi era molto complicata, non come oggi che ciascuno di noi ha la possibilità di mettersi in contatto con gli altri attraverso un cellulare.
Gli studenti, rapiti, hanno ascoltato per poi porre delle domande al termine della testimonianza.
Fano ha raccontato cosa volesse dire per un bambino ebreo andare a scuola all’epoca: divisi dagli altri bambini, avevano un ingresso separato e dovevano studiare dal testo unico fascista presente a quei tempi, dovendo pertanto, malgrado le discriminazioni continue, dover sapere a memoria gli inni fascisti e conoscere cose, come i Balilla, che non appartenevano a loro. “Così, da un giorno all’altro, i dipendenti pubblici ebrei vennero licenziati, noi bambini ebrei espulsi dalle scuole fin quando non ne istituirono per noi, ghettizzandoci. Mio padre faceva il commercialista e fu espulso dall’Ordine. Purtroppo qualche anno dopo fu arrestato e fu ucciso alle Fosse Ardeatine. Poco prima di essere preso, riuscì a lasciarci una lettera, l’ultima cosa che ci rimane di lui – ha raccontato alla presenza di sua figlia, al suo fianco – Persino l’esclusione dai Balilla mi faceva percepire la profonda diversità tra noi e gli altri ragazzi. Un giorno il maestro arrivò in classe dicendo che dovevamo svolgere un tema sul nostro orgoglio di essere Balilla, ma noi ovviamente non lo eravamo e il maestro lo sapeva bene perciò ci disse di inventare qualcosa perché dovevamo seguire in ogni caso le indicazioni del Ministero dell’Educazione Nazionale, così si chiamava”. Poi, per Claudio e la sua famiglia sono iniziate le persecuzioni, le denunce erano dietro l’angolo: “Chi denunciava un ebreo poteva percepire una lauta ricompensa: 5.000 lire per un uomo, 3.000 per una donna e 1.000 per un bambino. Quello era il valore che ci era stato attribuito”. Così la famiglia dovette lasciare la propria casa e separarsi, chi ospitato da un insegnante, chi da un medico, chi dalle suore fin quando il padre, che era ospitato da una famiglia alla periferia di Roma, è stato denunciato e arrestato perché, oltre ad essere ebreo, non si era arruolato.
Tutto era un pericolo, persino i loro nomi. La sorella di Claudio, Ester, divenne Giovanna: “La chiamavamo cosi anche a casa, per evitare di tradirci quando eravamo fuori. Così, anche dopo la liberazione, per alcuni mesi continuammo a chiamarla con quel nuovo nome finché non ci riabituammo ad Ester – continua il racconto – Ogni giorno ci potevano chiedere i documenti e, per capire se un bambino era ebreo, veniva chiesto se conoscevamo le preghiere. Ecco perché imparai il catechismo e le preghiere in latino a memoria, perché anche quello poteva essere un modo per trarci in inganno”.
I racconti di Claudio Fano testimoniano piccoli fatti quotidiani, ricordi nitidi di un periodo di di discriminazioni e atrocità che giungono da un passato che sembra lontano e invece era appena il secolo scorso e, con una guerra in corso a pochi passi da noi, le sue parole risuonano come un monito importante. Gli allarmi per correre nei rifugi, la fila per il pane, il coprifuoco, i bollettini di guerra e le radio: sembra un film di quelli in bianco e nero, al centro del quale c’è un concetto importante da tenere a mente, quello della diversità.
“Tornando all’attualità dei giorni nostri – dice infine Fano, rispondendo alla domanda posta da un docente sulla problematica del ritorno del razzismo e dell’antisemitismo tra i più giovani – il tema è ancora quello del diverso. Il diverso viene visto sempre con avversione e l’esistenza di questo sentimento viene sfruttata regolarmente da chi è al comando per poter scaricare le colpe facilmente. Non c’è nulla di più fruttuoso di questo, occorre fare attenzione